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La mia storia

La casa è lì davanti

Porta spalancata, finestre aperte.
Si alza una raffica di vento.
Rabbrividisco.
L'aria accarezza le pareti e mi porta il loro odore.
Scuro parquet, bianco intonaco, metallo dei contatti elettrici.

Ne sento il sapore in bocca, sotto la lingua e tra i denti.

È ancora troppo presto, purtroppo.

Volto le spalle alle quattro mura e cammino a passo veloce verso la macchina di mio padre, l'unica automobile in cui riesco a entrare, ormai.

È parcheggiata di fronte alla casa, colmo lo spazio che divide il posto in cui dormo da quello in cui vorrei farlo.

I prati si allargano tutto intorno, i barattoli d'acqua calda tintinnano ad ogni passo nel giaccone troppo largo.

Rimedio arrangiato contro il freddo di novembre.

Dopo cinque giorni, la casa che ho trovato in fretta e furia non sa ancora essere accogliente.

L'aria dell'oceano non è riuscita a strapparle i profumi che la caratterizzano e che per me ora sono veleno.

Entro in macchina e mi preparo a passare un'altra notte qui, ad osservare il posto dove dovrei vivere.

Trenta metri di distanza.

Quando li avrò colmati avrò fatto un passo in più verso una vita normale.

Chiudo la portiera e mi accoccolo sul sedile. Faccio scivolare lo sguardo sul panorama.

Alentejo, Portogallo, 2018.

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Persone altamente sensibili

È stato stimato che il quindici/venti per cento della popolazione mondiale presenta caratteristiche di ipersensibilità.

L'ipersensibilità è stata scoperta negli anni '90 dal gruppo di ricercatori californiani guidati della dottoressa Elaine Aron, che hanno coniato il termine Sensory Processing Sensibily (SPS).

Le caratteristiche riscontrate nelle persone altamente sensibili sono: una diversa elaborazione sensoriale; una maggiore risposta agli stimoli ambientali e sociali; specifiche aree di attivazione cerebrale legate alla neuro- sensibilità; dei fattori comportamentali specifici; una differente gestione dello stress psicofisiologico; maggiore sensibilità agli stimoli sonori e luminosi.

La sensibilità dell'elaborazione sensoriale (SPS) è quindi un tratto di carattere o personalità che coinvolge "una maggiore sensibilità del sistema nervoso centrale e un più profondo processo cognitivo di stimoli fisici, sociali ed emotivi".

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Un giorno tutto è cambiato

Fin da bambina, mi sono resa conto di essere più sensibile

rispetto alle persone che conoscevo, in tutti i sensi, sia fisici che psicologici.

Ho iniziato a danzare all'età di nove anni, e quando danzavo il mondo attorno a me sembrava perfetto, nulla mi tangeva, seguendo il ritmo mi sembrava che tutto ciò che avevo intorno si riorganizzasse in maniera precisa.

Il mondo trovava il suo posto attorno a me ed io trovavo il mio posto nel mondo.

Solo oggi, ho ricollegato quelle sensazioni alla mia condizione di "persona altamente sensibile".

La danza aveva la capacità di rilassarmi e di stimolare la capacità di concentrarmi allo stesso tempo.

Esisteva solo il momento presente.

Radicava il mio corpo e la mia mente in un unico istante, che diventava dimensione fisica e psicologica a un tempo.

La danza divenne la mia vita.

Sei ore di allenamento al giorno.

Un obbiettivo da seguire e una passione a sorreggerlo.

Trascorsi tre anni in Francia dove frequentai un Accademia di danza e dove mi diplomai come insegnante e coreografa: la passione divenne un lavoro.

Ho lavorato come danzatrice professionista per dieci anni, partecipando a spettacoli teatrali e televisivi.

La danza mi ha dato l'opportunità di viaggiare e di conoscere lingue e culture diverse e l'Asia divenne la mia seconda passione.

Nel 2000, dopo otto mesi trascorsi a Singapore ed un anno in Giappone, mi presi un paio di mesi sabbatici che trascorsi nel Sud Est Asia per poi tornare in Spagna a lavorare.

Nel 2001 portai avanti il progetto di uno spettacolo, di cui sarei stata anche produttrice e coreografa.

Ero tornata in Italia per prepararlo e poi venderlo nel mercato Asiatico.

Il locale nel quale si svolgevano le prove era un seminterrato con pareti umide ed intrise di muffe.

Lavoravo sodo in un clima di grande stress e responsabilità, dovevo realizzare il mio spettacolo senza tralasciare nulla. Passavo giornate intere rinchiusa in quello scantinato a preparare costumi, provare e creare coreografie.

Qualcosa però cambiò totalmente i piani.

Un giorno, uscendo di casa, svenni repentinamente sull'asfalto bollente di una calda mattina romana.

Un’ ambulanza mi portò all'ospedale San Camillo di Roma e da quel momento tutto cambiò.

Iniziai a non tollerare più gli zuccheri, gli svenimenti mi coglievano all'improvviso.

Di punto in bianco, il mondo si scuriva ai lati del mio campo visivo, un brivido freddo correva lungo la spina dorsale e le forze rotolavano via dai muscoli che avrebbero dovuto sorreggermi, temprati da anni di disciplina.

E invece non ce la facevano.

Arrivava la fame, quella brutta.

Mangiavo continuamente, eppure perdevo peso.

Cominciavo ad avvertire dolori alle giunture che non avevo mai provato.

Poi c'è stato lo scudetto della Roma.

Diciotto anni c'erano voluti perché i giallorossi riuscissero a riconquistare un campionato.

Diciotto anni di amore, odio, sofferenza, che in un unico momento decidono di esplodere tutti insieme, con mezza città che sprizza gioia rumorosa da tutti i pori.

Uno spettacolo.

Non per me!

Il rumore mi diventa insopportabile, non lo tollero e si

aggiunge alla lista dei miei problemi. Ero diventata ipersensibile anche al rumore.

E il boato della Capitale in festa, che durò giorni, era DAVVERO troppo forte.

Le finestre chiuse nel tentativo di tenere fuori la cacofonia romanista, nell'afa estiva, credo non le dimenticherò mai.

Grazie Roma, direbbe Venditti.

Ero diventata come una pallina in un flipper.

Diabetologi, ospedali, dietologi, specialisti di ogni tipo.

Rimbalzavo da uno all'altro nel tentativo di capire che cosa mi stesse succedendo.

Intanto, continuavo a perdere peso, dimagrivo sempre più, nonostante mangiassi come mai prima di allora.

Ero affamata ed assetata, bevevo litri e litri di acqua.
Ricordo che feci un esame delle urine delle 24 ore e ne raccolsi 6 litri.

Feci decine di analisi, solo per farmi chiedere se per caso non fossi anoressica.

La vecchia storia della ballerina e dei suoi problemi di peso.
Ma io, anoressica, non lo ero stata mai.
Quello che emerse dalle analisi fu che avevo dei livelli di insulina altissimi. A quel punto, il diabetologo mi guardò.

Fece una pausa, come nel tentativo di trovare le parole, o forse perché credeva che così facendo avrei avuto la possibilità di metabolizzare meglio quello che mi avrebbe detto un attimo dopo.

Tumore al pancreas.

Passai una settimana di angoscia, fino al giorno in cui non mi sottoposi ad una tomografia computerizzata, dalla quale emerse che le mie cellule pancreatiche godevano di ottima salute.

Il diabetologo mi sottopose ad un esame della curva glicemica.

La glicemia passò da 75 a 180 per poi scendere a 32 nel giro di un’ora e trenta dal carico di glucosio.

Persi coscienza, inzuppai la felpa e le mutande di sudore, ma poi la mia glicemia risalì piano piano da sola.

Il dottore mi disse che ero un caso appassionante, non aveva mai visto nulla del genere, mi avvertì solo che dovevo fare attenzione, perché in tutto quel casino ormonale, rilasciavo tantissimo cortisolo.

Mi sottoposi ad altre visite, ormai non stavo più in piedi.

Feci un test con liquido di contrasto, solo per scoprire che il mio stomaco si svuotava in maniera troppo rapida.

Lo specialista mi disse che avrei potuto mangiare anche le pietre.

Io invece mi ritrovavo a dover mangiare ogni tre ore, come un poppante, svegliandomi anche di notte per non svenire.

Altri specialisti, ero alla ricerca di una dieta che potesse aiutarmi.

Provai la dieta macrobiotica e mi sentì ancor peggio, i livelli di ferro erano bassissimi e soffrivo sempre più di vertigini.

Mi venne consigliata la dieta Zona arricchita di grassi, per cercare di non perdere ulteriore peso e tentare di rallentare il transito e l'assorbimento del cibo. Iniziai un rigido regime alimentare.

Facevo pasti frequenti, anche la notte.

Mi sarei svegliata lo stesso a causa del sudore notturno che mi costringeva a cambiare lenzuola e indumenti.

Aprivo gli occhi in un bagno di sudore, freddo, gelido.

Non sapevo bene quale direzione dovesse prendere la mia vita, ormai la danza era già alle mie spalle.

Avevo bisogno di staccare da tutto e capire come procedere.

Nonostante fossi completamente dipendente dal rispettare pasti rigorosi ad orari precisi, riuscivo a gestirmi e fare una vita più normale.

Finalmente, dopo TRE anni, avevo una tregua.

In quel momento convivevo con il mio fidanzato di allora, un musicista creativo e pieno di talento.

La nostra storia era stata messa a dura prova a causa della mia situazione.

Decisi di prendermi una pausa da tutto, nel tentativo di fare pace con me stessa e con il mio corpo, che per la prima volta sembrava deciso a concedermi una tregua.

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India

Il ragazzino mi guarda, occhi enormi, neri come i capelli.

Poi un sorriso gigante scopre i denti bianchi.
Sorrido a mia volta, nascosta dietro l'obiettivo.
Dietro di lui appare un altro bambino.

Mi guarda sospettoso.

Vedere due volti uguali che fanno un'espressione diversa mi fa trasalire, come se per un attimo non mi ricordassi dove sono.

Abbasso la macchina fotografica e osservo i due ragazzini identici.

Provo a sorridere anche all'altro, ma lui sembra non fidarsi, dà di gomito al suo doppio e si allontana verso il piccolo mercato.

Sorridente mi regala un altro bagliore di denti e lo segue. Io mi alzo, controllo l'orologio, le mie gambe tremano.

È ora di mangiare, ancora.

Sistemo la macchina a tracolla e seguo il profumo pungente di curry e coriandolo che si alza dalle bancarelle.

Kodhini, Villaggio dei Gemelli, Kerala, India, 2004.

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Il grande viaggio

Fu un viaggio con la mia adorata Zia Caterina a trasmettermi il gusto per l'avventura e la scoperta.

La sua casa era tappezzata di quadri raffiguranti i geroglifici e passavamo ore ad imparare i vari simboli.

Lei era insegnante di lettere e yoga e fin da piccola aveva stimolato la mia fantasia e mi aveva incuriosito con racconti di Sadu e Dee Madri.

L'amore per le altre culture e la passione per il genere umano che mi ha sempre spinto a viaggiare e ad imparare nuove lingue, mi sarebbe tornata utile anni dopo, quando da sola ho iniziato uno dei più grandi viaggi della mia vita, quello verso la guarigione.

Nel 2004 l'unica cosa che volevo e di cui sentivo di avere bisogno era staccare da tutto.

Per questo ero partita.

Doveva essere un viaggio di qualche settimana, ma alla fine è durato un anno; l'anno più libero della mia vita ma al contempo il più dannoso e pregiudizievole per la salute.

Avevo affittato la mia casa di Roma a due studentesse ed ero partita da sola, zaino e computer in spalla.

Viaggiavo in treno, autobus, motocicletta, nessuna meta precisa, all'avventura.

Rispettavo il mio regime alimentare, anche se questo mi è costato caro in termini di intossicazioni alimentari e batteriche.

Misuravo spesso la glicemia e oramai avevo imparato a gestire i momenti di panico che mi assalivano quando una forte crisi ipoglicemica subentrava.

Chiamavo a casa dicendo che il mese dopo sarei tornata, ma ogni volta qualcosa di nuovo mi tratteneva.

L'India mi aveva rapito.

Cominciai ad interessarmi alla fotografia e stimolata dall'idea di realizzare dei piccoli reportage mi lanciai alla ricerca di soggetti interessanti.

La mia prima esperienza fu il Villaggio dei gemelli, seguito dalle Hijra, eunuchi indiani, lo Tsunami, gli hippie del Karma Cola e le Vedove di Vindravan.

Attraversai l'India in lungo ed in largo.

Durate questo viaggio soffrì di ricorrenti infezioni batteriche e non pochi problemi intestinali.

Nel 2005 attraversai la frontiera con il Nepal e trascorsi tre mesi tra Katmandu e Pokara.

In seguito alla rottura di una capsula dentaria, fui costretta a rivolgermi ad un dentista, con il quale decisi di asportare dalla mia bocca ben sei amalgame dentarie.

Tutte le amalgame metalliche.

Il l dentista me le tolse senza alcun tipo di protezione, non considerando il fatto che contenessero metalli pesanti come il mercurio. Mi affidai a lui ignara delle conseguenze.

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Un altro sogno infranto

Durante una manifestazione in piazza, in seguito al Colpo di Stato, avevo incontrato un fotoreporter del “Times of India”, il quale, stupito nel vedermi sola tra l'esercito e i manifestanti, mi prese per un braccio e mi portò in disparte.

Gli spiegai che mi sarebbe piaciuto lavorare come reporter e dopo una colazione tipica nepalese, mi diede appuntamento a Dheli il mese seguente, per andare con lui e la sua equipe a seguire un praticantato.

Purtroppo, non ci arrivai mai.

Una settimana dopo aver tolto le amalgame dentarie, in un viaggio nell'estremo ovest del Paese iniziai a soffrire di dolori lancinanti al ventre.

A causa del coprifuoco indetto dal nuovo Re, rimasi bloccata senza possibilità di rientrare a Pokara.

Fu solo dopo qualche giorno che riuscì a raggiungere l'ospedale. Feci un viaggio stipata in un bus, pieno di capre e galline.

Un vecchio del villaggio mi diede una pallina di oppio da ingoiare per permettermi di fare il viaggio senza troppi dolori.

Il risultato fu pessimo, quando scesi dall'autobus vomitai tutto sui piedi di un povero poliziotto.

Mi sottoposero a varie analisi e ogni giorno mi recavo all’ospedale in bicicletta.

Era un edificio spartano, spoglio e igienicamente discutibile.

Mi facevano flebo e venivo visitata da vari dottori, ma nessuno capiva cosa avessi.

Risultavo positiva all'ameba e alla giardia, ma non si spiegavano quei dolori.

Infatti, in caso di amebe, è normale avere mal di pancia.

Ma le fitte che provavo erano tremende e non giustificate da quel tipo di infezione.

Iniziai una cura di antibiotici e dopo dieci giorni riuscii a tornare a Katmandu, dove mi aspettava un aereo che mi avrebbe riportato a Roma.

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Prima diagnosi

Il mio anno indiano aveva lasciato il segno.

Ero una vera e propria incubatrice di germi, cosi mi definirono i medici dell' ospedale specializzato in malattie infettive di Roma, Spallanzani. 

Oltre alle infezioni da amebe e Giardia individuate in Nepal, avevo contratto il Campilobachter e un altro tipo di ameba, e nella vescica furono trovate tracce di Escherichia Coli e molti batteri gram negativi.

Le mie difese immunitarie erano bassissime.

Ricoverata d'urgenza a Villa Flaminia, venni operata e mi venne asportatala la tuba sinistra che era già in necrosi.

Fui nuovamente bombardata di antibiotici, per arginare tutte le infezioni che avevo.

Dissi al medico che mi curava che ormai sentivo il gusto delle medicine in bocca, fisso.

Decise quindi di sospendere l'assunzione di antibiotici. Dopo l'operazione, cominciai a sviluppare molte intolleranze nei confronti degli alimenti.

Da quando rientrai a casa e per i TRE anni successivi provai dei fortissimi bruciori a tutte le mucose del corpo, dolori lancinanti all'addome, gonfiore e dolore a muscoli e articolazioni. 

Scoprì anche che mi ero presa l’Espen Barr virus.

Il mio intestino era un disastro, la pelle si ricopriva di punti rossi.

Per la prima volta, poi, cominciai a provare una maggiore sensibilità nei confronti degli odori.

Iniziarono anche le nevralgie che mi costringevano a chiudermi in camera al buio, perché la luce e le correnti d'aria mi irradiavano la faccia di dolore: ero diventata estremamente sensibile ai cambi di temperatura e che anche la più piccola corrente d'aria o l'aria condizionata scatenavano dei dolori molto forti al viso.

Dovevo restare a letto, al buio e tutta coperta ad aspettare che il dolore passasse e quello invece migrava.

Poteva iniziare a farmi male il lato destro del volto, migrare alle sole orbite, per poi spostarsi ai denti ed arrivare fino allo stomaco, provocando forte nausea.

Ci volevano giorni perché le nevralgie passassero.

Sempre in questo periodo, avevo incominciato a produrre enormi quantità di muco, un muco strano, bianco e viscoso, che veniva espulso solo dalla bocca e che a volte sembrava potesse soffocarmi.

Convivevo con uno stato di febbricola costante che si attivava ogni giorno alle quattro del pomeriggio.

Mi sembrava di avere perennemente l’influenza ed il corpo doleva come se qualcuno mi avesse percosso con un bastone.

C’erano dei giorni in cui mi faceva malissimo e faticavo a fare le scale.

La notte non riuscivo a dormire e mi sentivo sempre peggio, le gambe formicolavano e perdevano stabilità e i bruciori erano troppo intensi.

Ogni volta che entravo in un negozio di indumenti vintage, le mucose di naso e bocca cominciavano a bruciare.

Nella lista dei medici ascoltati spuntai anche la casella del neurologo.

Il quale ipotizzò che quello che mi stava accadendo poteva essere riconducibile alla sclerosi multipla.

Mi sottopose a un'elettromiografia.

Nonostante il risultato negativo, pareva che comunque il mio potesse essere un problema neurologico.

Iniziò la mia avventura con gli antidepressivi e con un antiepilettico, il Gabapentine.

Una avventura che durò sei mesi e che non dette alcun risultato. Decisi allora di rivolgermi alla medicina non convenzionale.

Nel frattempo, un reumatologo mi diagnosticò la Fibromialgia e la Sindrome delle Gambe Senza Riposo.

Roma, 2005

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l'inizio di un incubo

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Conobbi il padre di mia figlia, che mi sostenne ed appoggiò a provare una nuova strada. 

Decisi di provare con la medicina cinese: di nuovo l'Asia, una costante della mia storia.

Iniziai le sedute di agopuntura e presi le erbe che la dottoressa mi aveva consigliato, continuando intanto a mantenere una dieta ferrea.

Dopo due anni, le cose cominciarono a migliorare leggermente.

Le nevralgie erano sempre intense e frequenti, ma nonostante i dolori, avevo cercato di continuare a fare attività fisica: pilates a terra, camminate, ginnastica, Feldenkrise.

Avevo anche iniziato a dare lezioni private di pilates.

Avevo capito che dovevo continuare a muovermi, senza esagerare e praticando una ginnastica dolce.

La dottoressa cinese aveva suggerito una cosa a cui non diedi peso, all'epoca, ossia che i miei problemi potessero essere legati a uno squilibrio del sistema nervoso centrale, che non stava funzionando a dovere. Continuavo con erbe cinesi ed agopuntura.

Nel frattempo, ero tornata in Francia a seguire il corso di un chinesioterapeuta.

Mi diplomai nella tecnica di rafforzamento muscolare da lui creata, la Method Paul Daniel.

Una tecnica di riabilitazione articolare e muscolare.

In quel periodo rimasi incinta e poco dopo, nel 2012, nacque mia figlia.

La gravidanza era proseguita abbastanza bene.

Avevo notato che ogni volta che mi recavo all’ Ikea o in un grande magazzino, tornavo a casa stravolta.

Al varcare la soglia di questi grandi centri commerciali, le nevralgie, associate ad una grande produzione di muco, presentavano puntuali il loro conto.

Pensavo fosse colpa dell’aria condizionata, ma solo molto tempo dopo ricollegai i sintomi alla vera causa.

Mangiavo tutto biologico e riuscì anche ad allattare la mia bambina, ma alla fine mi sentì davvero esausta.

Il mio corpo stava impazzendo

Mi trasferì nella nuova casa a Roma.

E lì, il periodo di tregua purtroppo finì.

Durante un viaggio di quattro giorni in Portogallo, sia io che il mio compagno finimmo in ospedale per un'intossicazione alimentare.

Lui si riprese dopo tre giorni, per me fu più complessa.
Da quel momento, poi, iniziai ad avere nuovamente problemi col cibo.

Divenni  sempre più intollerante agli alimenti.
La mia nuova a casa a Roma era anche un B'&'B gestito da me.

Veniva pulito da una signora che purtroppo si ammalò.

Rimase assente per due mesi ed io, al ritorno dal Portogallo, cercai di sostituirla nelle pulizie.

Utilizzavo tutti i giorni prodotti per l'igiene di casa e a quel punto ricominciarono i dolori intestinali che si erano calmati per un po' di tempo.

In più, ritornò quella sensazione che avevo già provato dopo il Nepal.

Gli odori erano diventati fortissimi: mi sembrava che qualsiasi cosa emanasse un profumo assurdo, spesso insopportabile.

Un'amica, che era passata a trovarmi, mi aveva abbracciato, e il sapore dolciastro del suo profumo mi aveva invaso la bocca, come se l'avessi bevuto.

Non riuscì a togliere quel sapore per tre mesi.

LA MIA LINGUA DETECTAVA OGNI PROFUMO A METRI DI DISTANZA E LO PERCEPIVA COME SE LO AVESSI INGOIATO

Era come se il mio corpo stesse impazzendo.

Il primario di gastroenterologia dell'Ospedale Umberto Primo ipotizzò che potesse trattarsi di sclerodermia.

Mi sottopose a svariate analisi e mi assegnò una dieta rigidissima, la Foodmap, dove vengono eliminati tutti gli alimenti ad alta fermentazione.

Risultai negativa anche alla sclerodermia.

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Da un anno, avevo prenotato un viaggio in Thailandia con la mia famiglia.

Pensando che forse un po’ di relax avrebbe potuto giovare alla mia situazione, provai comunque ad andare, nonostante tutto.

Ma le cose peggiorarono ulteriormente.

In mare percepivo il gusto del gasolio delle barche, il profumo della citronella utilizzata dalle altre persone mi avvelenava la bocca.

Non potevo uscire dalla mia stanza e non potevo starci dentro, sentivo ovunque l'odore del Baygon.

I dolori all'intestino erano aumentati e così gli sfoghi sulla pelle.

Mi formicolavano le gambe e a volte iniziavano a cedermi.

Non ce la facevo più.

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Volo di linea

Affondo la faccia nel sedile dell'aereo, ma non funziona.

Se non vuoi vedere qualcosa, puoi chiudere gli occhi. Se non la vuoi sentire, ti tappi le orecchie.
Ma come fai a smettere di percepire un odore?

Smetti di respirare?
Spero che il sedile blocchi la puzza.

Ci stampo il naso contro con forza, la faccia avvolta in una sciarpa, anche se l'odore di plastica mi soffoca.

Ma è meglio dell'altro.
L'odore del detergente dei bagni è terribile.
Si allunga in zaffate bluastre, arrampicandosi lungo il corridoio del Boeing. Scivola nel naso, lungo i denti, sulle gengive, come una patina nauseante. Respiro il sapore di sapone e igienizzante e sento di svenire.
Mancano ancora quattro ore a Roma.

Volo Bangkok – Roma, 2017.

Ero sempre più confusa, dopo decine di diagnosi, diete, terapie seguite sempre in maniera meticolosa ero arrivata ad un punto morto, al termine di un percorso.

Era dal 2001 che convivevo con dolori e sintomi di ogni genere, sottoponendomi ad un’infinità di approfondimenti e diagnosi sbagliate.

Avevo vissuto momenti di grande paura e sconforto, soffrendo e facendo preoccupare i miei cari che come me si sentivano impotenti.

Ero stremata, avevo rinunciato alla danza, alla fotografia, lasciando da parte le mie passioni e i miei sogni.

Quante persone si sarebbero arrese?

Io non volevo, non potevo.

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Il destino nei geni?

Cominciai a fare ricerche online, per tentare di capire cosa stesse succedendo.

Fu allora che incontrai per la prima volta quella parola: MCS, (Sensibilità Chimica Multipla).

Iniziai ad approfondire e capì che il mio disturbo potesse essere riconducibile a questa Sindrome.

Il maggior esperto in Italia era il professor Genovesi, che confermò i miei timori.

Per un ulteriore conferma, mi rivolsi anche al dottor Pasciuto, un esperto in medicina ambientale.

Genovesi mi fece fare tutte le analisi sui polimorfismi genetici e mi disse che mi mancavano tutti i geni deputati alla detossificazione.

Durante i nostri incontri mi spiegò quanto fosse più importante l'epigenetica della genetica.

Purtroppo, la questione rimase in sospeso, e la rivalutai solo quando iniziai a capire il meccanismo reale alla base delle Sindromi correlate.

Per tentare di recuperare mi consigliò di allontanarmi dalla città e di provare ad assumere una cospicua quantità di integratori.

Aggiunse anche che se non avessi avuto dei risultati con la vita all'aria aperta e i prodotti che mi aveva consigliato, avrei dovuto andare in Spagna o a Londra, per ricoverarmi in una clinica di medicina ambientale.

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Sensibilità chimica multipla

La sindrome da sensibilità chimica multipla (MCS), anche definita intolleranza idiopatica ambientale ad agenti chimici (IIAAC), è una patologia cronica multisistemica, che comporta una reazione dell’organismo quando viene esposto a specifiche

sostanze chimiche ad ampio spettro presenti normalmente nell’ambiente e nell’atmosfera (sia indoor che outdoor) in cui vive il

soggetto, nei cibi, nei detergenti, nei materiali di costruzione, negli strumenti tecnologici eccetera.

La MCS è una sindrome e di conseguenza presenta una moltitudine di sintomi diversi, così come la Fibromialgia, la Fatica Cronica, l’Elettrosensibilità ecc.

Le persone colpite sono sensibili anche a concentrazioni chimiche inferiori a quelle considerata pericolose, e pertanto ben tollerata dalla maggior parte delle persone.

I sintomi da sfumati e intermittenti tendono a cronicizzarsi e a peggiorare nel tempo, sfociando in patologie conclamate anche gravi.

Tuttavia, una delle ragioni per cui la MCS è oggetto di acceso dibattito presso la comunità medico scientifica internazionale, è l’estrema soggettività con cui sui manifestano i sintomi che rende difficile stabilire parametri universali di riferimento in relazione alla formulazione di una diagnosi.

Per quanto riguarda l’insorgenza della malattia, spesso essa esordisce dopo che il soggetto colpito è stato esposto ad un contatto ripetuto di breve durata nel tempo, con sostanze chimiche tossiche, evento traumatico che scatena una prima e importante reazione di sensibilizzazione.

A seguito di ciò, l’organismo sviluppa una incapacità a tollerare anche minime concentrazioni di tali agenti chimici o inquinanti.

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L'esilio

Qualsiasi odore era diventato insopportabile.
Non potevo stare dentro casa, non sopportavo l'odore di nulla.

Dai sacchi dell'immondizia, alla macchina del comune che passava a lavare la strada, il profumo degli ospiti del B'&'B, le lenzuola lavate e stese del vicino.

Dovevo fuggire.

 

Decisi di seguire il consiglio di Genovesi, esiliandomi sull’isola di Ventotene.

Un altro fallimento.

Reagivo fisicamente alla crema da sole che la mamma attenta metteva al ragazzino a sei ombrelloni di distanza e non potevo neppure dire qualcosa al riguardo, perché la voce mi era completamente sparita.

Era bastato che un muletto mi passasse accanto, e per venti giorni avevo perso la voce.

Al massimo, riuscivo a sputare sangue.

In più, dalla bocca mi usciva una quantità spropositata di muco.
Non un bello spettacolo, ma a provarlo era ancora peggio.
Passavo la giornata sotto il pergolato della casetta che avevo affittato.

Non riuscivo più a lavarmi con l’acqua dell’acquedotto, anche solo bagnare il mio corpo era diventato impossibile, la bocca veniva pervasa da un gusto metallico insopportabile.

Ero costretta a lavarmi con l’acqua minerale.

Rientrai a Roma, la mia casa era oramai diventata alienante.

Non riuscivo più ad abbracciare mia figlia, nonostante il padre, seguendo una procedura da quarantena, la spogliasse fuori dalla stanza e la lavasse due volte con l’aceto.

L’odore del profumo della maestra dell’asilo, impercettibile agli altri, era per me una bomba tossica.

Altra fuga.

Macchina affittata, maschera di quelle per fare i graffiti sui muri, un viaggio terribile alla volta di Sanremo.

A casa dei miei, dove passo più di un mese in cortile, fuggendo dentro quando il vicino fa la grigliata o cambia la nafta al trattore.

I divani in pelle mi avvelenano e così il materasso.

La Spagna promessa

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In preda alla disperazione, quella vera, contatto la clinica in Spagna e decido di raggiungerla.

Un'altra odissea.

L'unica macchina in cui riesco ad entrare è quella di mio padre, la stessa in cui avrei dormito sei mesi dopo.

Mi accompagna mia madre.

Viene confermata la diagnosi di MCS ed anche riconosciuta l’Elettrosensibilità.

Fino a quel momento non lo avevo capito, mi ero accorta che quando avvicinavo il cellulare al viso la mia lingua si riempiva di elettricità e la voce sfumava.

Il telefono fisso di casa esalava uno strano” gas, così lo percepivo, e solo io riuscivo a sentirlo.

Ma mai avrei pensato all’Elettrosensibilità.

Fui diagnosticata tra il terzo e il quarto grado, il più alto.

Mi dissero che i miei sintomi erano cronici e che avrei potuto comunque migliorare.

Il miglioramento, secondo loro, sarebbe stato quello di tornare a ballare.

Chiusa in casa.
Oppure andare a cena fuori, in estate.
Su una terrazza.

Con poca gente.

Ogni tanto, ed il giorno seguente avrei probabilmente dovuto sottopormi a flebo disintossicanti.

Senza fare una vita normale.

Nel sangue trovarono livelli altissimi di mercurio, piombo, alluminio e altri metalli pesanti.

Rifiutai il trattamento per la chelazione dei metalli pesanti, perché non ci sono ricerche che lo dichiarino privo di controindicazioni.

Iniziai testando dei vaccini e facendo sei ore di flebo al giorno a base di integratori; Vitamina C, B12, Glutatione, Soluzione fisiologica, minerali e quant’altro.

La mia sensibilità peggiorava di giorno in giorno.

Cominciavo a non sopportare più l'odore delle cose naturali come per esempio i pini.

Il mio morale era a terra.

Un opportunitá: 

La Neuroplasticitá

Iniziai a svolgere ricerche per conto mio.

Fortunatamente, anni e anni di viaggi mi avevano lasciato un bagaglio di lingue che mi consentì di accedere a informazioni che in lingua italiana non erano disponibili.

Scoprì la storia di Thilde Jensen.
Il problema, con l'MCS, è che nessuno ti dice che puoi guarire.

Tutti ti rassicurano, potrai stare meglio, ma nessuno pensa che puoi superarla davvero.

È una costante con cui fare i conti, un legame che durerà tutta la vita. Ovunque, se ne parla con un'aria funerea di ineluttabilità.

Hai la Sensibilità Chimica Multipla, la Fibromialgia, l’Elettrosensibilità o la Fatica Cronica, ci conviverai per sempre, fattene una ragione.

Eppure, questa fotografa che lavorava col New York Times, affermava di stare bene.

Davvero.
Senza se e senza ma.

Feci l'unica cosa che mi sembrava giusto fare: la contattai.

Lei mi disse: “Mi dispiace che tu stia vivendo questo incubo”.

Poi, mi spiegò che aveva seguito un seminario nel quale si utilizzava una tecnica di riabilitazione neuronale, basata sul principio della neuroplasticità.

Mi consigliò di comprare i CD del seminario sul retraining neurologico del Sistema Limbico, ideato da Annie Hopper.

Mi disse che lei si era trasferita in un posto sicuro dal punto di vista ambientale, che aveva seguito una dieta rigorosamente biologica e che aveva fatto ginnastica.

Dopo questo lungo processo, era finalmente tornata a lavorare. Lo feci.

Comprai i cd, ma purtroppo non riuscivo ad utilizzarli, l’odore era troppo forte.

Li lasciai per due mesi a sgasare, come si dice in gergo, a prendere aria sotto la tettoia della clinica.

Per un po', quasi me ne dimenticai.

Ero oramai convinta che il mio destino fosse dettato dalla mia genetica.

Che il mondo attorno a me mi stesse avvelenando e che io non avrei potuto fare nulla per cambiare quella situazione. Ero anche diventata scettica riguardo al retraining neurologico.

In quel periodo, durante le ore di flebo, avevo ripreso a leggere, lentamente, rileggendo la stessa pagina anche due o tre volte.

La mia concentrazione era infatti pessima, il mio cervello era come annebbiato.

Lessi un libro avvincente di avventure, il quale non mi dava particolarmente fastidio.

Mi gettai poi sull’autobiografia di Loredana Bertè, che adoro!

Ricordo che dovetti infilare il libro in una busta di plastica perché non sopportavo l’odore dell’inchiostro, e anche così dovetti leggerlo con la mascherina.

Leggendo la storia di questa donna ribelle e fuori dagli schemi mi dissi che forse anche io avrei potuto uscire dallo schema che pian piano si era costruito intorno a me.

Andai a recuperare i CD del DNRS, a lungo lasciati sotto il pergolato a prendere aria ed iniziai a seguire i CD di nascosto, la notte chiusa in camera.

Fu così che iniziò il mio percorso verso le neuroscienze e la neuroplasticità.

Lessi il libro di Norman Doige; “il Cervello Infinito”, che racconta, in una grande raccolta di interviste ai più grandi neuroscienziati del mondo, l'incredibile capacità del cervello di modificarsi e di riorganizzarsi.

Iniziai a navigare online alla ricerca delle varie componenti di cui è composto il retraining della Hopper e scoprì che esistevano altre tecniche di riabilitazione sia del sistema Limbico che dei circuiti del dolore e di gestione dello stress.

Mi si apriva tutto un Universo.

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Sindromi da 

Sensibilizzazione Centrale

Il concetto di Sensibilizzazione Centrale è un concetto alquanto recente che definisce UNA RISPOSTA AMPLIFICATA DEL SISTEMA CENTRALE NERVOSO AI SEGNALI SENSORIALI in arrivo dal corpo.

Non si conosce ancora esattamente cosa la scateni, ma si rafforza sempre più l'idea che disfunzioni del sistema centrale nervoso in persone che hanno subito danni da stress psicologico, traumi fisici, lesioni, infezioni, virus, scarso sonno, esposizioni ambientali o l'unione di più di uno di questi fattori, ne siano la causa.

La sensibilizzazione centrale è dunque uno stato in cui il sistema nervoso centrale amplifica l'input sensoriale e provoca una miriade di sintomi.

 

Sotto l'acronimo di CSS (Sindromi da Sensibilizzazione

Centrale), vengono raggruppate ben 13 Sindromi,

spesso descritte come Sindromi Correlate e cioè diverse nell’espressione dei sintomi, ma aventi una causa di fondo comune che sarebbe la disfunzione del Sistema Centrale nervoso.

Fra queste 13 Sindromi ritroviamo anche:

FMS (Fibromialgia),
MCS (Sensibilità Chimica Multipla),
EHS (Elettrosensibilità),

CSF (Fatica Cronica),
PTSD (Stress Post Traumatico), ME (Encefalite Mialgica),

IBS (Sindrome dell’Intestino Irritabile)

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Líntenzione

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La luce fredda del pc illumina la stanza.

Scorro con due dita per far scendere il cursore.

Poi sento un rumore.

Mi giro.

Fuori dalla finestra c'è una donna che mi fissa, sguardo truce e terrorizzato a un tempo.

La conosco.
È la madre di una ragazza che dorme a una stanza da me.
La figlia soffre di una forma molto pronunciata di ellettrosensibilità. Mi guarda come se stessi attentando alla vita di sua figlia.

Il giorno dopo ricevo una lavata di capo.

Mi sento come una ragazzina pescata a rubare le caramelle. Bisogna rispettare le regole della clinica, per il benessere di tutti gli ospiti.

Provo a protestare, mi lasciano utilizzare il pc per un'ora al giorno, ho bisogno di più tempo.

La voce della dottoressa mi spiega, con la saccenza di chi ripete un concetto dieci volte al giorno, che bisogna rispettare rigorosamente i protocolli per riuscire a stare meglio.

Provo a dirle che io non sto meglio, che sì, non ho più le mucose in fiamme 24h, ma che sono sempre più sensibile, anche alle cose naturali.

Non riesco a sentire il profumo di certi fiori, che è naturale e che non dovrebbe crearmi problemi.

Che questo non può essere un miglioramento.

Io non voglio vivere come un'eremita, voglio guarire, ed invece divento sempre più sensibile.

Sorride comprensiva e io vedo per l'ennesima volta quell'accondiscendenza che viene dispensata a coloro che non hanno più speranza e mi rendo conto che devo andarmene dalla clinica.

Frugo su Internet alla ricerca di un posto che risponda a precisi requisiti: bassa densità di popolazione, in prossimità del mare, parco naturale.

Incrocio i risultati e valuto la difficoltà di raggiungerli.

Alla fine, ho il mio punto di fuga: Alentejo, Portogallo.

Trovo una casa sperduta nel culo del niente.

Chiamo il mio compagno.

Il primo di novembre deve venirmi a prendere, perché quell'ambiente negativo e che fomenta il mio timore verso l'esterno non fa altro che peggiorare la situazione.

Se voglio provare a guarire, devo lasciarmi quell'ambiente

alle spalle, non posso restare lì a sentire gente che si lamenta, elenchi di sintomi e sentenze mediche che suonano come condanne.

E poi, le mie vene non ce la fanno più, ho le braccia livide.

Clinica, Spagna, Ottobre 2018.

La fuga di Thelma

ALENTEJO, 1 Novembre 2018

La casa è lì davanti.

Porta spalancata, finestre aperte.
Si alza una raffica di vento.
Rabbrividisco.
L'aria accarezza le pareti e mi porta il loro odore.

Scuro parquet, bianco intonaco, metallo dei contatti elettrici.

Ma va meglio.

Continuo con gli esercizi.

Di fuori c'è la macchina di mio padre che mi guarda, sorpresa che stamattina non torno velocemente a rintanarmi lì. Sono quasi due settimane che barboneggio per casa e dormo in auto, mi riscaldo usando dei barattoli di vetro pieni d'acqua e nascosti nelle tasche del giaccone.

Studio sodo, divoro tutto quello che riesco a trovare circa il lavoro che si può svolgere sul Sistema nervoso centrale.

Voglio rieducare il mio cervello a non starsene perennemente in allerta. Per convincerlo è uno sforzo immane.

Sembro un soldato, devo ringraziare la danza per avermi insegnato la disciplina.

Sono sola, in una regione sconosciuta, incapace anche solo di entrare in un negozio o in un ospedale.

Mi sveglio alle 6.00, meditazione con visualizzazioni, colazione, round di esercizi basati sulla neurolinguistica e sula tecnica Comportamentale.

Camminata al mare con affermazioni di guarigione, pranzo, studio, ancora un giro di esercizi, qualcosa di comico e poi meditazione, yoga nidra, seminari online, lezioni della Standford University su Youtube.... inizio a creare una tabella di marcia, mai uguale, dinamica e stimolante.

È il 21 novembre, da qualche giorno ho cominciato a tenere un diario per appuntarmi i progressi.

Oggi, per la prima volta, sono andata a Odemira, il paesino più vicino che ho.

Ho fatto una lunga passeggiata.

Senza mascherina.

Senza sentirmi un'aliena.

Sono entrata in un negozio e persino

in un'erboristeria.

E ne sono uscita viva.

Con alcuni sintomi, certo, ma quella reazione attenuata mi conferma che forse sono sulla strada giusta.

Mi fermo un attimo, metabolizzo la cosa.

28 novembre: io e la pompa di benzina ci teniamo d'occhio a distanza, primissimo piano alla Sergio Leone.

Invece di accarezzare il calcio della pistola pizzico l'elastico della mascherina.

La pompa di benzina non si scompone.
La mano è un fulmine, la mascherina è abbassata.

Scendo dalla macchina e il benzinaio mi osserva preoccupato, che ormai s'era abituato a questa donna con una maschera al posto di bocca e naso che gli lanciava le chiavi e lo pregava di farle benzina, senza toccare nulla dentro la macchina che altrimenti lasciava odore.

Oggi no.

Faccio rifornimento e nel frattempo faccio gli esercizi per calmare il mio sistema nervoso simpatico.

Saluto il benzinaio stupito e mi allontano.

La pompa di benzina non può fare altro che guardarmi mentre me ne vado.

Non è stato tutto rose e fiori.

Sola, in un Paese che non conoscevo alle prese con un mostro invisibile che mi faceva brutti scherzi.

L’andamento di recupero non è mai stato lineare.

Miglioravo, e quando credevo di aver fatto un passo avanti, ne facevo due indietro.

Le ricadute venivano a farmi compagnia.
Azzardare una esposizione troppo grande mi debilitava per giorni.

Mi ero fatta dei bigliettini che incollavo ovunque, sullo specchio del bagno, sul frigo, sui vetri;

“Sono forte e sana”
“Sono una guerriera”
“è solo un errore del mio sistema nervoso, io sto bene!” “sono solo sintomi”.

Di notte mi svegliavo repentinamente, sentendo odori di cose che non c’erano.

Era come se il mio corpo e la mia mente si rivoltassero contro la mia volontà, contro di me.

Era come se mi fossi sdoppiata, una me che cercava di guarire, ed un'altra che tentava di farla fallire.

Non è stato un percorso semplice, ma un continuo sali e scendi sulle montagne russe, con periodi di calma e altri di tempesta.

Sia dal punto di vista fisico che psicologico.

Superare le ansie e le vecchie credenze, così come lavorare sulle percezioni, imparando a gestire lo stress, diventando l’osservatore di me stessa per capire e correggere vecchi percorsi inconsci neuronali, non è stato semplice.

Ero tornata in clinica qualche giorno, prima di Natale.

Credo mi ci abbia portato quella parte di me ancora legata ai timori ed alle vecchie credenze;

“Se ti esponi ti intossichi”.

Quel solco era profondo, inciso nel mio cervello e duro a morire.

Ma la caparbietà e il mio sé interiore mi hanno aiutato a reagire.

Mi sentivo a disagio.

Avrei dovuto testare dei vaccini e fare delle flebo, ma fuggì prima del dovuto.

Dissi alla dottoressa che stavo meglio, che tolleravo più cose, che ero entrata in un centro benessere.

Lei come sempre mi retarguì, dicendo di fare attenzione che così sarei peggiorata nuovamente.

Fu lì che scattò in me la Bertè dormiente.

“Vaffanculo”!!

Gettai i vaccini, salutai il bel dottore già pronto, con l’ago in mano, a perforare le mie povere braccia tumefatte.

Gli dissi;
“Me ne vado”
Lui replicò;
“Dove?”
”A fare surf dissi io”.
Chiusi definitivamente quella porta alle mie spalle.

Ormai ero decisa ad andare fino in fondo, volevo riabbracciare mia figlia e non perdere nemmeno più un giorno della sua infanzia. Era la mia motivazione più grande.

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Nuova vita, nuova me

Il mare mi aiuta tantissimo.

Faccio body board quasi ogni giorno e posso indossare una muta.

Incontro di nuovo delle persone.

Facciamo sport assieme, chiacchieriamo.

La nuova casa non mi guarda, non può farlo.

Perché sono dentro, non sto ad osservarla da fuori.

Mi sento una ragazzina al primo appuntamento.

Per la centesima volta mi guardo allo specchio, controllo che nel soggiorno sia tutto a posto.

Respiro, cercando di tranquillizzarmi.

Orologio.
Sono in ritardo.
Ho contato i giorni.

Toc toc.
Vado alla porta.
La apro.

Abbraccio forte mia figlia, ha un profumo leggero di buono e di pulito.

La respiro.
Algarve, Portogallo, maggio 2019.

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